
IL RANCORE
Serbare rancore significa covare risentimento, un’ostilità silente dovuta ad un’offesa, ad uno sgarbo.
Un misto di rabbia e desiderio di rivalsa protratti nel tempo.
Nei giorni, nei mesi.
Spesso negli anni.
Un sentimento che scava nel cuore fino a formare un buco nero, una voragine di cupo distacco che allontana, rende estranei.
Facile provare rancore.
Facile offendersi e chiudersi nella consapevolezza della propria ragione senza provare il desiderio di uscirne.
Facile prendersi le ragioni di un torto subito e tenersi stretta la sensazione della “vittoria”.
Più difficile, molto ma molto più difficile e coraggioso, sarebbe fermarsi e capire.
Chiedere spiegazioni.
Aprire le finestre dell’orgoglio, dell’omertà e del sospetto per far volare il pregiudizio.
Fare spazio alla schiettezza.
Alla chiarezza.
Per vivere meglio.
Per liberare il gorgo dal peso della diffidenza e della circospezione.
Ma non è facile. Per molti impossibile.
E la vita va avanti a strattoni, tra fremiti di amore e di terrore, slanci di generosità e puro egoismo.
Sempre sul precipizio, tra la voglia di fidarsi e la paura di farsi male, il desiderio di aprirsi e la terribile sensazione di ritrovarsi nudi.
Più facile il rancore.
Non ti perdono. Io non dimentico.
Io sono la vittima. Tu il carnefice.
Ma attenzione.
Il rancore, come molte altre forme di risentimento, è indubbiamente e fatalmente una delle peggiori espressioni di autolesionismo che, riducendo al minimo la voglia di conciliare e di riconciliarsi, ci limita a noi stessi. Al riparo. Al sicuro.
Personalmente, non provo rancore.
Dimentico in fretta.
Perdono facilmente.
Credo di avere la tranquillità e la forza necessarie per voltare pagina, dare il giusto peso alle parole e ai gesti.
Mi fa sentire bene. Risolta.
Libera. Leggera.
Meditate gente. Meditate. 😊
Buonanotte